Chiesa e Università

La Diocesi di Padova nel periodo dell’insegnamento di Galileo (1592-1610)

Rilevanza dei temi

Nell’ accingermi a svolgere il tema, mi sia lecito rilevare, in via preliminare, che esso non solo non è giustapposto ed estrinseco, ma è quasi da considerare di rilevante importanza ai fini di una compita considerazione della personalità, dell’opera e del significato che Galileo riveste nella storia della scienza e della cultura. È stato a Padova che Galileo ha insegnato la nuova via della scienza sperimentale e ha realizzato le prime osservazioni astronomiche servendosi del telescopio. È stato a Padova che egli ha trascorso – per una sua personale testimonianza – «li diciotto anni migliori» della vita.

Il “caso Galileo” si è prodotto dopo che il grande scienziato lasciò l’Ateneo patavino. Ma a sua adesione al sistema copernicano ed eliocentrico era acquisita quand’egli insegnava a Padova. Mi pare, dunque, che anche ai fini di una completa, approfondita e obiettiva analisi del “caso Galileo”, come emblematico del rapporto scienza – fede, libertà – autorità, che chiama in causa principalmente la Chiesa, sia importante indagare il periodo padovano di Galileo, gli influssi che egli assorbì dall’ambiente ecclesiastico e l’atteggiamento delle sfere ecclesiastiche a suo riguardo. Tanto più che Galileo fu un sincero credente, a prescindere da qualsiasi giudizio sulla qualità della sua prassi di vita cristiana.[1]

Posta questa premessa, mi pare onesto rilevare che una accurata ricostruzione storica delle varie dimensioni e dei molteplici aspetti strutturali e dinamici della vita della Chiesa locale di Padova in quel periodo necessita ancor oggi di più ampia e approfondita ricerca. Nell’archivio vescovile e nella biblioteca capitolare giace una copiosa messe di documenti manoscritti, che attendono ancora l’esplorazione di qualche appassionato ricercatore. È da sperare che la storia della diocesi, attualmente in cantiere, saprà adeguatamente lumeggiare questo interessante periodo.

Sulla scorta delle pubblicazioni esistenti in materia e valendomi di qualche sondaggio particolare cercherò di delineare, a larghi tratti e in forma prevalentemente descrittiva, il volto della Chiesa patavina, qualche si presentava allorché Galileo, nel settembre 1952, giunse a Padova. Ho parlato di “volto”, perché sondare l’anima misteriosa della Chiesa resta sempre un’impresa che trascende le possibilità degli strumenti a disposizione dello storico, benché sia vero che il volto rivela l’anima profonda.

Vescovi

La diocesi di Padova era ritenuta, al tempo di Galileo, tra le più vaste, popolose e ricche d’Italia. Per aver un punto di riferimento demografico, ricordiamo che la città, nell’ultima decade del secolo XVI, stava gradualmente riprendendosi dalla terribile pestilenza del 1576, che, a testimonianza del Canobbio, aveva falcidiato la metà degli abitanti, vale a dire 14 mila sulla cifra di 18 mila in cui era calcolata la popolazione urbana. 2  L’università attirava a Padova un folto numero di studenti provenienti da varie nazioni 3  ;  al tempo di Galileo si calcola che fossero millecinquecento circa.

Durante il periodo che Galileo trascorse a Padova, esercitarono il ministero episcopale due vescovi: Alvise Corner (1589-1594) e Marco Corner (1594-1625). Come indica chiaramente il loro nome, si tratta di esponenti di una tipica famiglia del patriziato veneziano. In quell’epoca la nomina dei vescovi di Padova – città che aveva un prestigioso Ateneo e costituiva uno dei precipui centri politici ed economici della regione – è strettamente controllata dalla Repubblica di Venezia. Non mancò, peraltro, qualche eccezione. Significativa e importante, ed esempio, fu la scelta Nicolò Ormaneto (1570-1577), un veronese che aveva studiato e anche insegnato per breve tempo nello Studio patavino. 4  La sua nomina, rispondente agli orientamenti del Papa Pio V, aveva avuto il consenso di Venezia per un fine diplomatico: ottenere l’appoggio papale per la costituzione di una Lega antiturca veneto-spagnola. L’Ormaneto era dotato di una solida e vasta preparazione culturale, teologica e pastorale. A Verona svolse importanti incarichi per conto del Vescovo Giberti. Fu poi collaboratore del cardinale Pole in Inghilterra. In seguito partecipò come consultore teologo del Novagero al concilio di Trento. Altro importantissimo ministero che svolse fu quello di vicario generale di Carlo Borromeo a Milano. In questo incarico ebbe un ruolo decisivo nella convocazione di un sinodo per la promulgazione dei decreti de concilio di Trento e nell’erezione del seminario. Nel suo ministero a Padova incarnò un modello di governo pastorale della diocesi ispirato dal concilio di Trento, caratterizzato da una presenza vigilante e direttiva della vita diocesana nei suoi diversi aspetti. Compì una rigorosa visita pastorale e si mostrò sollecito dell’elevazione della vita e della cultura del clero. L’11 luglio 1572 fu designato nunzio apostolico a Madrid.

Alvise Corner, il vescovo che reggeva la diocesi di Padova alla venuta di Galileo, aveva conseguito a Padova la laurea in utroque iure, ed era succeduto allo zio paterno Federico (1577-1589) all’età di trentadue anni. Le fonti lo descrivono come persona mite e generosa verso i poveri. Nel 1592, pochi mesi prima che Galileo iniziasse il suo insegnamento, celebrò un sinodo che riproponeva le costituzioni promulgate dal sinodo del 1579. Ciò mostra la continuità degli orientamenti pastorali diretti al rinnovamento del corpus ecclesiale sulla scia del concilio tridentino. La sollecitudine maggiore era riservata alla formazione del clero e alla dottrina cristiana.

L’episcopato successivo di Marco Corner (1594-1625) sarà ugualmente caratterizzato dalla ricerca di applicare le direttive conciliari tridentine. Prima di assumere il governo della diocesi patavina Marco Corner aveva trascorso un biennio a Roma, dove incontrò personalità di rilievo, quali Pietro e Cinzio Aldobrandini, protettori dell’Oratorio, il cardinale Cesare Baronio, stringendo inoltre importanti relazioni con i Gesuiti. Un tratto di questo vescovo che ha attirato l’attenzione è il suo mecenatismo illuminato e la sua sensibilità per l’arte della musica. 5  A lui si deve una significativa riforma liturgico – musicale con la pubblicazione del Rituale sacramentorum e l’introduzione, nel 1596, delle Quaranta ore dell’adorazione eucaristica. 6

Di questo presule occorre menzionare il suo piano educativo inteso a sviluppare l’opera delle “scuole e compagnie di dottrina cristiana” iniziata da Nicolò Ormaneto nel 1572. Nel 1596 vennero pubblicati gli Ordini della Congregazione che governa la Compagnia della dottrina cristiana, in cui erano presentati i requisiti e le funzioni degli “officiali” addetti all’insegnamento del catechismo. Lo scopo era quello di istituire presso ogni parrocchia una scuola di dottrina cristiana per l’istruzione religiosa dei fanciulli. Per significare quanta importanza fosse data alla scuola di dottrina, ricorderò che nel 1602, per la visita pastorale dell’altopiano di Asiago, il vescovo aveva fatto tradurre e stampare in lingua cimbra la Dottrina cristiana base del Bellarmino, che divenne Christlike unt korze Dottrina.

Un aspetto rilevante delle funzioni vescovili in questo tempo è il rapporto con l’Università. Il vescovo detiene la carica di cancelliere di diritto dell’Università e, a questo titolo, gli competeva la promozione delle lauree. Paolo IV aveva imposto la professione di fede cattolica per ottenere la laurea. Intorno al 1580, per non costringere gli studenti non cattolici a tale atto, fu introdotta la prassi della laurea in privato. 7

Parrocchie, Clero, Seminario

Una struttura portante della diocesi e della cura pastorale era costituita dalle parrocchie. Alla data del 1571 erano, nel perimetro urbano, in numero di ventisei e non dovevano aver variato di molto nel periodo galileiano. Si trattava, dunque, in rapporto alla popolazione, di una rete piuttosto fitta di centri ecclesiastici e di chiese, e se teniamo conto del numero elevato di altri edifici sacri, di monasteri e case religiose, è chiaro che Galileo, vivendo e camminando per le vie di Padova, in contrava questa visibile e multiforme presenza ecclesiastica.

Quali parrocchie e chiese ha frequentato? Qual era la situazione e la qualità del clero patavino in qual tempo? Dai documenti risulta che il periodo è caratterizzato dalle iniziative e dagli sforzi di riforma e di rinnovamento morale, spirituale e culturale richiesti dal concilio di Trento. Abbiamo già rilevato che un’azione vigorosa di rinnovamento del clero patavino fu condotta, nel periodo precedente la venuta di Galileo, da Nicolò Ormaneto. Questo vescovo procedette con tali vigore da sospendere e allontanare dalle parrocchie non pochi sacerdoti indegni o non idonei, al punto che il Consiglio dei Dieci della Repubblica di Venezia, preoccupato per le molte parrocchie vacanti, intervenne presso l’Ormaneto rilevando che era meglio avere preti di «mediocre eruditione, che non ne haver alcuno». 8

Tra i mezzi più efficaci per la riforma e la elevazione della vita del clero sono da annoverare: sinodi, le viste pastorali e l’istituzione del seminario. Dopo l’importante sinodo del 1579 e quello del 1592 altri se ne tengono sotto l’episcopato di Marco Corner, rispettivamente nel 1597, 1593 e 1603.

Il sinodo – base, che ci permette di cogliere gli orientamenti riformistici, è quello del 1579. Esso è dedicato in grandissima parte precisamente al clero, essendo questa, evidentemente, la categoria portante su cui riposava la vita e la qualità pastorale della Chiesa. Il sinodo si preoccupa anzitutto che gli aspiranti al ministero di predicare il Vangelo, siano intimamente consapevoli di tale altissima vocazione e di conseguenza «nemo igitur in hoc ministerium se ipse arroganter intrudat; nemo sibi honorem adsumat qui a Deo per legitimum Ecclesiae ministrum vocatus non sit; quin potius tanti officii onus maxime ferormidet».9  Il sinodo tratta poi diffusamente delle virtù e della cultura la pietà e la vita di orazione, dichiara che i chierici non devono contentarsi dell’orazione vocale, ma devono tendere al diletto della contemplazione («sed multo magis ea, quae mente et spiritu fit, suavissima divinarum rerum contemplatione delectenur». 10

Per quando concerne la formazione teologica e culturale, il sinodo prescrive ai sacerdoti lo studio della Sacra Scrittura, del Catechismo romano e del concilio di Trento, nonché «Antonini atque Navarri Summas, Augustini homilias, moralem interpretationem in Job, librumque pastoralis Gregorii et Joannis Chrisostomi volumen de sacerdotio». Lo stesso sinodo ripete con insistenza che nessun beneficio sarà concesso a chi non avrà dato prova di sani costumi e adeguata dottrina e che gli ordini sacri potranno essere conferiti solo a coloro che presenteranno testimonianze scritte sull’età, le virtù, la formazione culturale.

Come e dove formare adeguatamente questo nuovo clero? Il concilio di Trento, con un importantissimo decreto, aveva prescritto l’istituzione del seminario. Questa decisione si rivelerà d’importanza decisiva per un efficace rinnovamento del clero e per l’elevazione della vita ecclesiale.

A Padova il decreto tridentino istitutivo dei seminari ebbe applicazione abbastanza pronta, ma in verità poco efficace. La fondazione del seminario di Padova viene attribuita da qualcuno al Vielmi, da altri all’Ormaneto, e da altri ancora a Federico Corner.11   Gli inizi, comunque, furono piuttosto esigui e stentati: gli alunni erano pochi, probabilmente solo una decina; e i programmi di formazione assai deboli. Si registrò successivamente un incremento di alunni fino a raggiungere la quantità verso il 1582. Al tempo della venuta Galileo insegnava nel seminario un reputato maestro, Lorenzo Antico, autore di una grammatica latina stampata nel 1601 (era parroco di San Tommaso martire immediatamente prima che la chiesa fosse affidata ai padri dell’Oratorio). È importante rilevare che i vari vescovi succeduti nella sede patavina mostrarono interesse per il seminario. Federico Corner (1577-1589) cercò una sede stabile per l’istituto e lo dotò di mezzi più idonei per il suo sostentamento autonomo. Il sinodo del 1579 aveva emanato disposizioni per l’ammissione in seminario: i candidati dovevano essere di buona indole e rispondere a questi requisiti: «In seminarium nemo recipiatur qui diocesanum non sit; atque e legitimo matrimonio procreatus, duodecim annum aetatis expleverit, christianam doctrinam didicerit, atque memoria teneat, grammaticarum rerum initia noverit, clericalem habiturn gerat, atque eo animo admitti se poscat, ut ecclesiae patavinae perpetuo inserviat».12  

Sono indicazioni importanti dal punto di visto della selezione. Ma le costituzioni sono silenziose circa il curriculum formativo spirituale e la ratio studiorum. Vi è ragione di credere che il seminario avesse sostanzialmente il profilo di un convitto per giovani aspiranti al ministero.

Parrocchie frequentate da Galileo

Se ci chiedessimo: quali parrocchie Galileo frequentò e quali parroci conobbe, potremo rispondere che le parrocchie e i relativi parroci che egli conobbe furono principalmente quattro:

  1. La Cattedrale dove avrebbe ben presto stretto amicizia con l’arciprete Paolo Gualdo e con il canonico Antonio Quarenghi, oltre che con gli altri canonici: Giovanni Belloni (poi “principe” dei Ricovrati) e Alberto Barison;
  2. La parrocchia e chiesa di San Lorenzo, dov’era parroco Lorenzo Pignoria, eminente studioso di egittologia. Qui vennero battezzate due figlie di Galileo: Virginia e Livia; qui Galileo fece da padrino a due bambini: Bartolomeo (1596) e Maria (1598);
  3. La parrocchia di San Martino, con la chiesa quasi contigua allo Studio padovano, dov’era parroco qual Martino Sandelli al quale Galileo pensava di affidare la traduzione latina dei suoi scritti sulle macchie solari;
  4. La parrocchia di Santa Caterina, dove fece battezzare il terzogenito, Vicenzo.

Canonici e laici amici di Galileo

Tra le componenti della Chiesa locale merita attenzione l’istituto dei canonici. Essi svolgono un ruolo importante, sia per la loro formazione personale, sia per le funzioni e prerogative giuridiche di cui godono. In questo periodo, tra i canonici padovani, non più strettamente appartenenti al patriziato veneziano, spiccano figure culturalmente cospicue. Menzioniamo tra gli altri, Girolamo Zanocco “Sacrae Theologiae doctor”; e tutta una serie “juris utriusque doctores”, quali Alvise Selvatico, Alvise Barozzi, Girolamo Michiel, Fabrizio Cenghiaro, Camillo Borromeo, Nicolò Galileo, Vicenzo Assonica, Bernardino Coco (gestore del collegio universitario omonimo, contiguo all’abitazione di Galileo in via Vignali), Francesco Beliroto, Giulio Urbani e Francesco Memo: tutti canonici patavini.

Non possiamo qui non ricordare altri canonici che entrarono in amicizia con Galileo: Giovanni Belloni, docente di filosofia morale all’Università (1594) e Albertino Barison, discepolo di Galileo in Padova e testimone della straordinaria affluenza di scolari alle lezioni del grande matematico, in seguito elevato alla cattedra episcopale di Ceneda (Vittorio Veneto). E per tutti valga il canonico Paolo Gualdo, dal 1596 vicario generale del vescovo Marco Corner. Del Gualdo ci resta soprattutto la copiosa corrispondenza epistolare con Galileo (che continua anche dopo l’ammonizione romana a Galileo nel 1616) e l’importante biografia di Gianvicenzo Pinelli, dal Gualdo stesa con un’ottica particolare sul circolo culturale pinelliano. È il Gualdo che informa come al concilio di Trento si siano recati non soltanto presuli e loro familiari, ma anche studiosi; tale è il casa di Gianvincenzo Pinelli e di Gianfrancesco Mussato, uno dei co-fondatori dell’Accademia Delia, e certamente tra i co-fondatori della gloriosa Accademia dei Ricovrati. È alla luce di tale afflato innovativo che va letta la ricerca di verità e di cultura da parte di tanti laici, nell’ambito della società padovana dell’epoca.

Quanto rimane delle vicissitudini della famosa biblioteca di Gianvincenzo Pinelli, oggi all’Ambrosiana di Milano, è sufficiente a prospettare l’ampiezza dell’orizzonte culturale, anche in sfera religiosa, coltivato dal circolo pinelliano. E pertanto, parlando dell’Ambrosiana, viene a proposito anche il discorso sull’altro grande amico di Galileo: Antonio Quarenghi, canonico della cattedrale di Padova, e il suo inventario in quella biblioteca. Se tale inventario è di trent’anni circa prima della sua morte (1° settembre 1633), tuttavia la sua importanza è palese a tutti, per il fatto che può aver offerto disponibilità di consultazione allo stesso Galileo, amico e per un certo tempo anche ospite del Pinelli.

Mi sia dato di ricordare altresì qual parte importante abbia avuto il pensiero di Antonio Quarenghi nel celebre Dialogo di Cecco dè Ronchitti de Bruzene, a lui dedicato, e come fosse vastissima la sua cultura, non solo in ambito teologico, ma anche in quello più lato di cultura umanistica e scientifica dell’epoca.

Religiosi e loro apporti culturali

Altra componente importante della vita ecclesiale era rappresentata dalle Congregazioni e Ordini religiosi. L’opera di Riforma cattolica, dando un forte impulso al rinnovamento ecclesiale, aveva suscitato anche una nuova fioritura di Congregazioni. Accanto gli Ordini più antichi, come Benedettini, Francescani, Conventuali e Domenicani sorgono nuove fondazioni. Ricordiamo in particolare la Compagnia di Gesù, i Teatini, nati nel 1524 e di cui “magna pars” fu san Gaetano Thiene; i Somaschi, fondati dal patrizio veneto Girolamo Miani. Nel 1596, nella circostanza di una visita di Pietro Aldobrandini al vescovo Marco Corner, sorse a Padova il primo Oratorio a imitazione di quello romano. La città di Padova è punteggiata da una fitta rete di abbazie e monasteri; basti pensare che alla fine del 500 nella cerchia urbana si trovano ben diciannove monasteri di ispirazione benedettina.

Alcune di queste istituzioni, le quali costituiscono una forza viva della cristianità sotto l’aspetto spirituale e caritativo, si caratterizzano anche per una significativa dimensione culturale, assumendo il profilo di attivi centri del sapere, dotati di scuole, biblioteche e maestri. L’incremento degli studi in questo tempo è rilevato da alcune innovazioni: ad esempio l’aumento degli anni di scuola; la nomina di nuove figure, quali il “praefectus studiorum” (come nel caso dei Somaschi). I Camaldolesi, insieme al superiore maggiore e all’abate generale, eleggeranno un terzo superiore incaricato di «providere et ordinare studia litterarum in nonnullis locis aptioribus et ad alias scientias comparandas».13   Uno di questi “aptiores loci” è proprio a Padova. I maggiori ordini religiosi avevano aperto in città degli studia generalia, che impartivano una formazione superiore di base. Il conferimento dei gradi accademici era, invece, riservato alla facoltà Teologica dell’università. Notevole importanza andrà assumendo lo Studio generale dei frati Conventuali del Santo.14

Un cenno particolare merita la presenza e il ruolo svolto dalla Compagnia di Gesù nel settore della cultura. È nota l’importanza della Ratio studiorum dei Gesuiti, fidata nel 1599 e ritoccata nel 1604. Essa rappresenta un modello di educazione umanistica cristiana, destinato a esercitare un notevole e durevole influsso. A Padova i seguaci di Ignazio di Loyola giunsero alla prima ora e vi fondarono, nel 1542, un collegio di grammatica e retorica che ebbe un florido sviluppo. L’affluenza e il prestigio della scuola dei Gesuiti ebbe tale incremento che, all’inizio dell’anno accademico 1590 – 1591, quindi l’anno precedente l’inizio dell’insegnamento galileiano, il collegio aggiunse al consueto “curriculum” un corso di livello accademico assumendo il profilo di un Gymnasium patavinum societatis Jesu e contandendo, non senza successo, gli scolari all’Università. Ma la reazione dei professori dell’Ateneo fu tale che la Repubblica Veneta obbligò i Gesuiti a chiudere l’esperienza il 23 dicembre 1591. Mi sia permesso rilevare come Galileo, inaugurando la nuova via della scienza moderna, fu certamente originale, ma trasse ispirazione anche da alcuni maestri gesuiti. Grazie al recente ritrovamento di nuovi documenti, si è potuto infatti stabilire l’influsso esercitato su Galileo da Chistopher Clavius e alcuni giovani gesuiti che insegnarono nel Collegio romano negli anni 1589 – 1591. Dagli appunti dei loro corsi, conosciuti e utilizzati da Galileo, si deduce che essi esponevano opinioni innovative sulla metodologia scientifica, su rapporti tra fisica terrestre e fisica celeste, come pure sul movimento dei corpi, applicando la matematica allo studio della natura. In questo contesto è interessante sapere che nella biblioteca del seminario di Padova [«Collocazione G1(r)»] è conservato il volume Christophti Clavii in spheram Johannis de Sacro Bosco Commentarius, Romae 1570, facente parte del lascito del nipote di Galileo al vescovo Geregorio Barbarigo. Sul figlio di guardia del libro è apposta la frase manoscritta: «Il Padre Christophoro Clavio cominciò a dichiararmi la Sphera in Tivoli addì XIX di agosto 1578». La calligrafia pare essere quella di Galileo una cattedra universitaria, e gli riservò un’entusiastica accoglienza al Collegio romano nel 1611, dopo aver confermato, con l’aiuto di altri astronomi gesuiti, le scoperte telescopiche esposte nel Siderius nuncius del 1610. Il Clavius morì nel 1612 e i rapporti con i Gesuiti da allora mutarono.15

Ritornado a Padova, dopo questa digressione “romana”, ricordiamo che Galileo, quale docente allo “studio patavino”, incontrò vari colleghi ecclesiastici, nella facoltà di teologia. Menziono alcuni nomi:

– Angelo Andronico, lettore di teologia; domenicano, veneziano proveniente dal convento di san Giovanni e Paolo;

– Angelo Soto, pure domenicano, insegnante di Sacra Scrittura;

– Girolamo Pallantieri, frate minore conventuale, di Castelbolognese, proveniente dal convento di San Francesco di Bologna. Insegnava teologia “in cia Scoti”. Egli fu anche il primo sindaco del Collegio dei teologi. Il Riccoboni ne tesse l’elogio chiamando «Vere Hieronimus… et vere Pallanterius, quasi… sapientia floridus».

La metafisica “in via Thomae” era insegnata da Salvatore Batoluzzi, reggente della Scuola del Santo. La cattedra di “diritto canonico, secondo loco”, era occupata da Ercole Jassonia, eletto poi fra gli Accademici Ricovrati, ai quali apparteneva lo stesso Galileo.

Menzioniamo poi due altri docenti d’un certo interesse: Girolamo Fabrici d’Acquapendente, lettore di chirurgia e anatomia, medico curante di Galileo e amico del vescovo Marvo Corner; e Antonio Riccoboni, oriundo di Rovigo e cittadino padovano, lettore degli “studia humanitatis” greci e latini. I nomi di Acquapendente e Riccoboni risultano più d’una volta nei registri che annotano i battesimi e r relativi padrini.

Personalità religiosa di Galileo

La presentazione delle varie componenti più importanti dell’istituzione ecclesiale patavina non è certamente sufficiente per un’adeguata comprensione della vita cristiana del tempo, anche se hanno rivelato linee di tendenza significativa. È necessario scrutare altre dimensioni e domandarsi quale sia stata la collocazione di Galileo nel contesto ecclesiale padovano. In linea generale possiamo dire che la diocesi di Padova era pervasa dalla corrente rinnovatrice tridentina. Questa tendenza risente del contesto e delle scelte politico – religiose e culturali caratteristiche della Repubblica Veneta, tanto più che i due vescovi che reggono la diocesi nel periodo galileiano, come abbiamo visto, sono esponenti del patriziato veneziano.

La tensione rinnovatrice si manifestava principalmente nell’ambito della pietas, della liturgia e della catechesi, ma invertiva anche cultura. Le direttive in ambito ecclesiastico miranti a riformare la vita cristiana, a cominciare da quella del clero, erano certamente necessarie. C’è da chiedersi, tuttavia, in quale misura la motivazione evangelica e teologale avesse il posto che merita. La concezione ecclesiologica anche a Padova, per quanto è dato di conoscere, era ispirata dal modello “societario” (societas perfecta) e troverà nel Bellarmino uno dei teologi più rappresentativi. Un aspetto certamente poco edificante era la censura delle idee e l’intransigenza nei confronti di teorie e persone considerate eterodosse. A Padova l’autorità ecclesiastica pare aver mostrato, in questo settore, una certa moderazione. Se Galileo fu inquisito non era per la sua teoria copernicana, bensì per supposte idee di astrologia, e venne facilmente assolto. Da rilevare invece che il Siderius nuncius fu pubblicato con le dovute autorizzazioni ecclesiastiche.

Dalle opere e dalle lettere si può cogliere qualcosa dell’intimo sentire religioso di Galileo, ma più arduo risulta conoscere le espressioni della sua fede cristiana. Penso si possa dire che Galileo fu un cristiano sincero, il che non significa che sia stato un cristiano esemplare. C’è, dal punto di vista ecclesiastico, la macchia della sua unione coniugale irregolare. Per un giudizio più approfondito in proposito sarebbero da precisare le vere motivazioni, come sarebbe interessante sapere che cosa gli avessero detto o consigliato in proposito i suoi amici sacerdoti. È certo che fece battezzare i suoi figli e che da tale unione dolcissima al suo cuore e a lui vicinissima nelle sofferenza.

Non sarei in grado di dire qualche ampiezza e spessore avesse la cultura catechetica e teologica di Galileo in questo periodo, ma è da supporre che nel contatto frequente e amichevole con ecclesiastici, quali Gualdo e Pignoria, o di laici della cultura di un Pinelli, Galileo fosse stimolato a una conoscenza non superficiale della dottrina teologica. Su un punto egli dimostra di possedere una conoscenza chiara e precisa, ed è sui principi dell’interpretazione della Sacra Scrittura in relazione alle questioni scientifiche. A più riprese Galileo nel trattare il rapporto tra conoscenza biblica e verità scientifica si fonda sul decreto del concilio di Trento dell’8 aprile 1546, in cui si dichiarava che la Sacra Scrittura non si doveva interpretare contro il senso tenuto dalla Chiesa e contro il consenso dei Padri, ma questo limitatamente alle questioni di fede e di morale. Galileo sottolineava giustamente che, poiché «la mobilità o la stabilità della terra e del sole non solo de fide» e non concernono i costumi, tali argomenti non sono soggetti alla norma di conformità al consenso dei Padri. 16  In altri scritti Galileo mostra di conoscere assai bene il pensiero di sant’Agostino e di altri autori in materia di interpretazione biblica e del rapporto tra conoscenza di fede e conoscenza scientifica.

Conclusioni

Da questa panoramica sulla vita ecclesiastica patavina al tempo dell’insegnamento di Galileo, possiamo trarre alcune osservazioni suscettibili di essere precisate e approfondite. Alcuni rilievi sono di ordine storico, altri riguardano l’attualità.

  1. Galileo incontrò la presenza di una Chiesa locale, che recependo la riforma e gli orientamenti del concilio Tridentino, era entrata in una fase di profondo rinnovamento spirituale, pastorale e culturale, che, seppur lento e talora stentato, stava già producendo frutti significativi.
  2. Galileo si inserì e visse senza difficoltà nella Chiesa di Padova.
  3. Galileo ha lasciato Padova certamente non per l’opposizione della Chiesa, ma per altri motivi. La sua adesione al sistema copernicano, le sue scoperte e le sue idee erano note a taluni suo amici ecclesiastici padovani, qualcuno dei quali lo invitò alla presenza, in quanto si trattava di idee “pericolose”. Non appare, tuttavia, che egli sia stato inquietato per motivi di una supposta deviazione dottrinale di natura biblica e dogmatica.
  4. Galileo affermò, nel 1640, dopo le note traversie, d’aver passato a Padova «li diciotto anni migliori» di tutta la sua vita. Questo fa onore alla nostra città e alla patavina libertas. Forse anche la Chiesa locale ha contribuito a formare in Galileo tale giudizio, almeno con la sincera amicizia di alcuni ecclesiastici.
  5. Qualche sacerdote amico di Galileo – come il Gualdo e il Pignoria – mantenne i rapporti epistolari con Galileo fin dopo egli lasciò Padova e anche dopo le note vicende processuali del 1616 e 1633. Lorenzo Pignoria, soprattutto, si prese cura del piccolo Vincenzo provvedendo a vendere il liuto del padre, dietro richiesta di questi, per sovvenire alle spese necessarie e all’educazione del bimbo.
  6. La memoria di Galileo e l’interesse per la sua figura e opera sono rimasti vivi nella Chiesa di Padova. Ne è testimonianza, tra gli altri, il fatto che fu la tipografia del seminario di Padova, grazie a un insigne studioso, il Toaldo, a pubblicare per prima in ambito ecclesiastico l’Opera omnia di Gallileo nel 1744, quando non era ancora ufficialmente abolito il decreto di proibizione del 1616. 17
  7. Merita d’essere ricordato, come pregevole contributo di studio ai nostri giorni al “caso Galileo”, il convegno simposio organizzato dalla rivista «Studia Patavina» nel 1982 – 1983 sul tema Galileo Galilei a Padova. Libertà di indagine e principio di autorità.
  8. Nella Chiesa da qualche decennio, soprattutto a partire dal concilio Vaticano II, si considera il “caso Galileo” con animo sereno e se ne affrontano le conseguenze con vivo senso di responsabilità. Le massime autorità della Chiesa hanno riconosciuto obiettivamente e umilmente l’errore compiuto nel condannare Galileo. Il 10 novembre 1979, parlando alla Pontificia Accademia delle Scienze, Giovanni Paolo II dichiarava: «[Galileo] ebbe molto a soffrire, non possiamo nasconderlo, da parte di uomini e organismi della Chiesa». Il concilio Vaticano II, in uno dei suoi più solenni documenti, aveva deplorato «certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non aver sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che suscitando contese e controversie trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongono tra loro» (Gaudium et spes, n. 36). Da rilevare che la nota apposta a questo testo conciliare cita in proposito la pubblicazione e di P. PASCHINI, Vita e opere di Galileo Galilei, Ed. Vaticana 1944).
  9. Giovanni Paolo II ha istituito il 3 luglio 1981 una commissione con il compito di condurre una serena e obiettiva analisi pluridisciplinare del “caso Galileo”; nelle sue varie implicazioni. Tale commissione ha già prodotto qualche studio di rilievo sul versante storico – culturale. 18  Forse anche queste nostre celebrazioni patavine potranno offrire utili elementi alla commissione vaticana.
  10. Se diversi aspetti e problemi implicati nel caso Galileo sono stati elucidati, altri importanti ne rimangono da chiarire e approfondire, sia in ambito storico che teoretico. Il “caso Galileo” si è prodotto a un tornante della storia e della cultura europea e ha influenzato tutta l’epoca successiva. L’evolversi del sapere nei vari rami solleva oggi nuove problematiche in termini non meno appassionanti che al tempo di Galileo. La scienza sperimentale moderna, di cui Galileo è stato un iniziatore, ha gradualmente segnato il superamento di una concezione meccanicistica e deterministica dell’universo, mentre l’epistemologia ha dischiuso nuovi orizzonti all’ermeneutica della scienza. Si è visto che il campo del reale, quanto più la conoscenza progredisce, si rivela sempre più ricco, complesso e misterioso. Più che di scienza, oggi si dovrebbe forse parlare di molteplici scienze, ciascuna delle quali, con metodo proprio, è una via verso la conoscenza della verità. Esse sono distinte e non confondibili. La fede vera nulla ha da temere dalla vera scienza, anzi la scienza, a sua volta, può essere aiutata dalla riflessione storica, epistemologica e teologica. Nessuna di esse, a sé stante, può pretendere a un sapere esaustivo, totalitario e definitivo. Affermare che le scienze sono distinte, non contraddittorie e non sovrapponibili, è una grande acquisizione culturale. I problemi si pongono quando una incrocia l’altra ed è chiamata a confrontarsi con l’altra. La sfida odierna ma pare si collochi soprattutto a questo livello. Oggi le menti più persone nella ricerca del vero, sanno di trovarsi di fronte a una realtà che, nella sua totalità, rappresenta un mistero che trascende l’uomo e la sua ragione finita, mistero che non è ciò che non si può conoscere, ma ciò che non si finisce mai di conoscere. Questo lo sa bene il credente, tanto più se è un mistico, ma lo sa anche l’autentico uomo di scienza.

Poste queste premesse, penso che sia possibile, e che anzi vi sia oggi bisogno per il bene dell’umanità, forgiare un umanesimo fondato su un dialogo rispettoso, aperto, reciprocamente stimolante e critico tra le varie scienze che esprimono l’insaziata sete umana di accedere alla Verità.

Mi piace pensare che Padova, la quale ha saputo offrire a Galileo un clima propizio per le sue ricerche e le sue invenzioni, possa rappresentare anche oggi un laboratorio culturale, a livello europeo e internazionale, che sappia offrire un nuovo modello di autentico umanesimo.

L’esistenza di questa Accademia Patavina di scienze, lettere ed arti, cui appartenne come socio co-fondatore lo stesso Galileo, mi pare un segno del fecondo confronto e dell’armonia che può esistere fra quanti ricercano le verità della scienza e le verità della fede. Ne è testimonianza la giornata odierna che ha tutto il sapore della stupende affermazioni poste sulle labbra del Salviati da Galileo stesso, alla fine della quarta giornata del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo: «Vaglia dunque l’esercizio permessoci ed ordinatoci da Dio per riconoscere e tanto maggiormente ammirare la grandezza sua, quanto meno ci troviamo idonei a penetrare i profondi abissi della infinita sapienza».

Antonio Mattiazzo

Relazione tenuta il 15 febbraio 1992 Presso l’Accademia Patavina della scienze, lettere e arti in occasione del Simposio internazionale per il 4º centenario della venuta a Padova di Galileo Galilei.

 

NOTE

1  La fede convinta e sincera di Galilei è solidamente attestata, nonostante il parere contrario di pensatori d’ispirazione marxista come L. Geymonat, il pensiero scientifico, Milano 1954; Galileo Galilei, Torino 1964, e A. Banfi, Vita di Glileo Galilei, Milano 1962. La interpretazioni di questi ultimi autori sono poco convincenti. Cf. In proposito A. M. Moschetti, Certezza matematica e senso del mistero in Galileo, in Galilei a Padova, p. 86. Vedere anche P.G. Nonis, Galileo e la religione.

2 A. Canobbio, Il successo della peste occorsa a Padova l’anno MDLXXVI, Venezia 1577. A detta del Canobbio, collaboratore del vescovo N. Ormaneto, l’epidemia falciò anche 179 ecclesiastici (cf. Pure la relazione del podestà di Padova in Archivi di Stato di Venezia, Collegio Relazioni, busta 33, ff. 32v-32f). Per dati demografici di Padova anteriori e posteriori al 1576 cf. Don G. Beltrame, Storia della popolazione di Venezia dalla fine del secolo XVI alla caduta della Repubblica, Padova 1954, pp. 63, 68, 70.

3 Alto stella scrive che «l’influenza degli studenti stranieri a Padova fu molto incostante nella seconda metà del secolo XVI» e ne indaga le cause nel Saggio Tentativi controriformisti all’università di Padova e il rettorato di Andrea Gostynski, Aa. Vv., Relazioni tra Padova e la Polonia, Antenore, Padova 1964, pp. 75-87.

4 Sulla personalità e l’opera di questo vescovo cf. P. Perto, Una aspetto della riforma cattolica nel Veneto: L’episcopato di Nicolò Ormaneto, in «Studi Veneziani» XI (1969), PP. 1-32.

5 Cf. A. Lovato, La musica sacra nell’attività pastorale del vescovo di Padova Marco Corner (1557-1625), in «Studi Patavina» 34 (1987), pp. 29-49.

6 Paolo Gualdo racconta nell’autobiografia che nel 1596 «parve a questo religiosissimo Vescovo per deviare le dissolutezze del carnevale, introdurre un carnevale spirituale nella chiesa del duomo li 3 ultimi giorni, con musiche, apparati, illuminazioni, sermoni, e indulgenze come usano i padri Giuseppini nella città di Roma. Per 3 giorni vi fu un afflusso imponente di popolo. Sermoni edificanti si alternarono a concerti sacri, dispute religiose e canti polifonici. Per assicurare la miglior riuscita all’iniziativa e allietare i fedeli il Vescovo scritturò personalmente “Venetiis, Verona et Mediolano musicos praecellentissimos, vocibus et musicis admirabiles, cornicines atque tubicines egregios”»: A. Riccoboni, De gymnasio patavino, 137.

7 Cf. Stella, Tentativi controriformisti all’università di Padova.

8 Cf. Archivio Stato di Venezia, Capi dei Consiglio dei X, Secret, reg. 9, f. 30v.

9 Constitutiones et decreta, f. 1.

10 Ivi, pp. 3-4.

11 M. Rossi, Cronaca di Padova dal 1562 al 1621, manoscritto di B. P. presso la biblioteca civica di Padova, p. 15, e il Portenari, Della felicità di Padova, 1623, come pure L. Todesco – S. Serena, il Seminario di Padova, Padova 1911, attribuiscono a N. Ormaneto. Invece Rizieri Zanocco ne rivendica il merito al Vielmi. Cf. Le origini del Seminario di Padova in «Bollettino diocesano» 12 (1927), pp. 139-355. Questa tesi è sostenuta da Preto, Un aspetto della riforma cattolica nel Veneto, p. 24.

12 Constitutiones et decreta, pp. 26-27.

13 Cf. A. Giabbani, Camaldolesi. Le figure più espressive dell’ordine Camaldoli, s. d.

14 Cf. L. Sartori, Gli studi al Santo di Padova, in Aa. Vv., Problemi e figure della Scuola Scotista al Santo, Padova 1966.

15 Cf. W. A. Wallace, Galileo e i professori del Collegio romano alla fine del secolo XVI, in P. Poupard (a cura), Cf, Ed. Piemme, Cadale Monferrato 1984.

16 Cf. Galileo Galilei, Opere, E.N., Vº, P.337, ediz. Rivista, p. 351

17 Giuseppe Toaldo, riformatosi nel seminario patavino, è conosciuto come fondatore dell’Osservatorio Astronomo di Padova. L’edizione delle Opere di Galileo consta di quattro tomi, di cui, nel IV, si trova il Dialogo sui massimi sistemi. È importante rilevare, per la storia del “caso Galileo”, che l’edizione ottenne la previa autorizzazione del Santo Uffizio, su richiesta dell’inquisitore padovano. La licenza fu concessa con decreto del 9 ottobre 1741. Cf. M. Restiglian, Nota su Giuseppe Toaldo e l’edizione toaldina del dialogo di Galileo, in Galileo Galilei a Padova – Libertà di indagine e principio di autonomia. Atti del Convegno di «Studia patavia» (1982), pp. 235-239.

18 Cf. Poupard, Galileo Galilei, 350 anni di st