Nei decenni in cui lo Studio padovano iniziò a funzionare (1222-1240) e negli anni in cui il Comune promosse la ripresa universitaria dopo l’età ezzeliniana (1259-1262), la teologia non era parte della compagine accademica, come avveniva anche a Bologna ma diversamente da quanto succedeva a Parigi, Oxford o Cambridge.Non per questo la teologia era assente nel panorama padovano: centri di insegnamento teologico erano i conventi dei nuovi e vivaci ordini religiosi detti ‘mendicanti’, dove le singole famiglie religiose avevano proprie scuole e propri maestri, detti lectores. La teologia era insegnata dai domenicani nel convento di Sant’Agostino, dai francescani nel convento di Santa Maria Mater Domini a cui si legò sant’Antonio (questi, peraltro, già nel 1224-1225 aveva insegnato teologia a Bologna ai confratelli, con il permesso di san Francesco) e, dopo il 1256, dagli Eremiti di Sant’Agostino (Eremitani) nel convento dei SS. Filippo e Giacomo all’Arena.
La teologia entrò a fare parte delle discipline dell’Universitas Studiorum patavina nel 1363, allorché, su richiesta di Francesco I da Carrara e del vescovo Pileo da Prata, papa Urbano V concesse l’istituzione della Facoltà teologica con la bolla Sane dum fructus, ma con la condizione che i primi docenti si fossero formati presso l’Università di Parigi (nella bolla si parla di «magistri parisienses»), all’epoca detentrice del monopolio dell’insegnamento della teologia. I primi statuti chiamati a regolare il funzionamento della Facoltà teologica vennero elaborati tra 1378 e il 1381 per volontà di Urbano VI da una commissione cardinalizia. Nel febbraio 1385 copia di questi statuti fu consegnata al vescovo di Padova, il benedettino Raimondo, in ragione del suo ruolo di cancelliere dello Studio. Comuni ad altre facoltà teologiche presenti sulla penisola, questi statuti furono promossi dall’autorità pontificia con l’intento di rinsaldare i legami politici con alcune città. Statuti specifici, rispondenti alla peculiarità della realtà padovana, vennero promulgati nel 1406, subito dopo la conquista di Padova da parte di Venezia, per iniziativa del vescovo Albano Michiel e del francescano Englesco degli Engleschi, allora decano della Facoltà teologica. La vivacità e il dinamismo che caratterizzarono gli studi teologici spinsero il vescovo Pietro Marcello e un altro francescano, il decano Giovanni di San Marino, a pubblicare meno di vent’anni dopo, nel 1424, nuovi statuti in cui, in maniera attenta e dettagliata, si stabilirono l’organizzazione interna della Facoltà, i riti religiosi e accademici che dovevano caratterizzarla e i diritti e i doveri del collegio dei docenti.
Diversamente dalle universitates dei giuristi e degli artisti e dai loro collegi di dottori e non solo docenti, la Facoltà teologica si strutturò come una sorta federazione di sedi autonome, fra cui figuravano gli studi teologici di cinque conventi cittadini, una scuola vescovile tesa a formare il clero secolare e alcune cattedre attive presso strutture residenziali per studenti, come il collegio Pratense. L’onere economico per il loro mantenimento venne inizialmente sostenuto dalle stesse istituzioni ecclesiastiche: fu solamente a partire dalla seconda metà del Quattrocento (forse addirittura dal 1442) che le autorità veneziane si decisero a sostenere con risorse pubbliche l’insegnamento della teologia, provvedendo, per tutelare la pluralità di punti di vista e mantenere la ben radicata tradizione dell’insegnamento ‘in concorrenza’ fra due distinti docenti vigente nelle altre aree disciplinari, all’istituzione di cattedre tanto secondo l’indirizzo di Duns Scoto, retta da un francescano conventuale, quanto secondo la dottrina di san Tommaso d’Aquino, sempre affidata ad un domenicano.
L’istituzione di un Collegio dottorale dei teologi incise non solamente nella vita dello Studio ma, più in generale, sulle vicende dell’intera città. Alla fine del XV secolo i teologi in via Scoti (dal nome del francescano Duns Scoto) furono considerati dal vescovo Pietro Barozzi, personalità di fine sensibilità pastorale e culturale, come un solido baluardo contro le posizioni degli aristotelici/averroisti, che, tanto nelle aule universitarie quanto nelle strade e nelle piazze, mettevano in dubbio l’immortalità dell’anima e l’eternità del mondo. Nel 1496 il Collegio dei teologi di Padova, assieme a quello dell’Università di Perugia, si pronunciò contro l’accusa di usura mossa al Monte di Pietà, avviato alcuni anni prima dai francescani con l’appoggio del vescovo Barozzi per dare sostegno agli strati popolari più poveri e deboli.
Presso la Facoltà teologica studiarono ed insegnarono numerosi personaggi di grande levatura morale ed intellettuale. Tra essi ricordiamo il francescano Antonio Trombetta (1436 – 1517), autorevolissimo docente di metafisica e vescovo di Urbino, il domenicano Tommaso da Vio (1469 – 1534), detto il cardinale Gaetano, che, in qualità di legato papale ad Augusta, si misurò con lo scoppio della questione luterana, il teologo e vescovo Cornelio Musso (1511 – 1574), che, per la sua preparazione, ebbe l’onore di tenere l’orazione inaugurale del Concilio di Trento, e Filippo Fabri (1560 – 1630), fermo avversario del libertinismo ateizzante e dello scetticismo razionalista che agitavano la cultura e la società dei primi decenni del Seicento.
Nel corso del ‘700 la Facoltà di teologia venne riformata dalle autorità veneziane, attribuendo al Collegio dei teologi la regolamentazione dell’organico docente ed inserendo nel percorso di studi, oltre alla metafisica e alla teologia, anche la Storia ecclesiastica e la Sacra Scrittura. Nel mondo erudito dell’epoca la Facoltà ebbe grande fama grazie all’attività editoriale svolta da docenti di livello internazionale come il domenicano Jacques – Hyacinthe Serry (1658 – 1738), convinto sostenitore delle idee gallicane (gallicanesimo: insieme di dottrine ed atteggiamenti, presenti in Francia, tesi ad affermare l’autonomia della Chiesa francese dal papato), e il francescano conventuale Giuseppe Maria Platina (1670 – 1743), che, dopo il suo trasferimento da Bologna a Padova, affrontò con chiarezza i nodi controversi dell’infallibilità pontificia.
Nel 1806, a seguito della promulgazione dell’editto napoleonico di Saint Cloud, la Facoltà di teologia venne sciolta. Fu ripristinata nel 1816 per iniziativa delle autorità austriache nel quadro di un vasto disegno riformatore teso ad uniformare gli atenei di Padova e Pavia al modello delle università asburgiche di Vienna, Praga, Innsbruck e Graz. Nei progetti imperiali, la Facoltà presente a Padova doveva essere l’unico studio teologico di livello accademico del Lombardo – Veneto assieme a quella di Pavia e in essa i chierici dovevano ricevere una formazione teologica e pastorale idonea a renderli fedeli funzionari della corona asburgica. Le autorità austriache esercitarono un deciso controllo sulla Facoltà di teologia, riservandosi i diritti di nomina degli organi direttivi (prefetto degli studi e preside), di definizione dei piani di studio e dei libri di testo e di designazione dei docenti, scelti, a partire dagli anni Venti del XIX secolo, tra coloro che avevano studiato al Frintaneum, l’istituto di Vienna dove venivano formati i membri scelti dell’élite ecclesiastica dell’Impero.
Questa invadenza del potere politico venne contrastata faticosamente dai vescovi padovani, che consideravano di propria competenza il controllo della Facoltà. Nel 1823 il vescovo Modesto Farina, che si era formato presso l’Università di Pavia ed era stato un importante funzionario delle amministrazioni pubbliche napoleonica e austriaca, riuscì a far trasferire le lezioni accademiche dalle aule del Bo a quelle del Seminario diocesano. Fu, però, solamente nella seconda metà degli anni Cinquanta, a seguito della stipula del Concordato fra Santa e Sede e Austria (1855), che la giurisdizione asburgica cessò, venendo sostituita da quella del patriarca di Venezia e del vescovo di Padova.
Negli anni della dominazione austriaca la Facoltà di teologia si segnalò come luogo di formazione di primissimo livello, dove studiarono personalità illustri come il roveretano Antonio Rosmini, che si laureò nel 1823 sotto la guida del teologo pastorale Giovanni Prosdocimo Zabeo, divenne un grande filosofo cristiano e fu beatificato nel 2007, e Giuseppe Sarto (papa Pio X), che condusse gli studi superiori nel seminario-facoltà di Padova fra il 1850 e il 1858.
Nel corso degli anni Sessanta del XIX secolo, mentre era in corso il processo di unificazione italiano e si discuteva attorno al problema dell’esistenza dello Stato della Chiesa, la Facoltà di teologia venne duramente colpita dalle polemiche che contrapposero i sostenitori del potere temporale del papa agli antitemporalisti. Assieme a diversi docenti del Seminario diocesano, la maggioranza dei professori della Facoltà teologica, dipendenti dal Governo austriaco, si rifiutò di firmare un documento, approvato dal vescovo Federico Manfredini, convinto sostenitore del potere temporale papale, in cui era contenuta una solenne professione di fede temporalista e si domandava di rendere il potere temporale oggetto di definizione dogmatica. Le ragioni del rigetto non furono politiche ma teologiche e giuridiche, tuttavia la mancata sottoscrizione ebbe come conseguenze l’allontanamento dall’insegnamento dell’autorevole biblista Angelo Valbusa e la riduzione del numero di chierici autorizzati dai vescovi veneti a studiare presso la Facoltà patavina.
Nonostante il calo delle iscrizioni, dopo l’ingresso del Veneto nel Regno d’Italia (1866), la Facoltà di teologia di Padova sopravvisse per qualche anno, venendo proposta, assieme a Napoli e Torino, come una delle sedi da mantenere, qualora si fosse provveduto ad un ridimensionamento del numero degli studi teologici di livello accademico presenti nel regno sabaudo. Il clima drammaticamente teso fra Stato e Chiesa e la secolarizzazione del pensiero e degli atteggiamenti di vita dei ceti dirigenti borghesi spinsero, tuttavia, nel gennaio 1873 alla soluzione radicale dello scioglimento delle Facoltà di teologia e all’esclusione degli studi teologici dalla vita accademica italiana.
Nel 1894, su richiesta del vescovo Giuseppe Callegari, papa Leone XIII autorizzò la costituzione di una Facoltà teologica presso il Seminario diocesano. Tale istituzione fu completamente sganciata dall’Università cittadina e, dopo una vita stentata, venne soppressa nel 1931. Agli inizi degli anni Cinquanta del Novecento il vescovo Girolamo Bortignon lanciò l’idea di restituire spessore agli studi teologici condotti a Padova e nel Veneto, promuovendo la nascita della rivista Studia patavina, diretta dal teologo Luigi Sartori. L’attività della rivista e il moltiplicarsi delle occasioni di confronto teologico ed ecclesiologico legate ai lavori del Concilio Vaticano II crearono le condizioni per chiedere alla Congregazione romana per l’educazione cattolica l’autorizzazione ad aprire a Padova una sezione parallela della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, avviata nel 1972. Nel 2005, per volontà della Conferenza episcopale triveneta, è sorta la Facoltà teologica del Triveneto, che, pur essendo una realtà non inserita nell’Università di Padova, intrattiene con questa una molteplicità di relazioni volte all’approfondimento del rapporto tra Scienza e Fede, delle questioni bioetiche e delle problematiche educative.