Chiesa e Università

Vivere il vangelo

Il 37° Congresso nazionale della FUCI inizia la sua attività qui in chiesa, davanti all’altare del Signore. È giusto prendere da Lui l’ispirazione; è doveroso rendere a Lui ogni onore e gloria.

Spiritualmente uniti un cuor solo ed un’anima sola – formiamo l’assemblea liturgica, che innalza la lode a Dio mediante l’atto più sublime della religione – il santo sacrificio della Messa – e ne implora l’aiuto ed il conforto.

Invochiamo le grazie del Signore: – per noi stessi, affinché possiamo crescere nella bontà e nella carità, – per la FUCI, antica e benemerita associazione, chiamata a svolgere un prezioso apostolato fra gli studenti universitari d’Italia, – per l’università italiana perché abbia ad assolvere degnamente al suo alto compito per il bene del popolo italiano, – per il congresso, tappa importante nella vita della federazione, affinché possa dare i frutti auspicati.

Ospiti nella città del Santo, ci è caro far ricorso alla intercessione di s. Antonio dottore evangelico, perché ci ottenga di dare un senso e cristiano alla nostra vita nella fedeltà all’insegnamento e all’esempio di Cristo Gesù. Raccolti in questa basilica cattedrale, dove si conserva il corpo di s. Gregorio Barbarigo, pastore insigne e grande mecenate degli studi e della cultura, ne implorano la protezione poniamo davanti al nostro sguardo il suo esempio di vigorosa sanità.

Impegno profondo di vita interiore, di pensiero, di azione

Ci par di avvertire che aleggi sopra di noi la benedizione del santo Padre, il quale ama con particolare affetto la FUCI e tutti attende nella sua casa lunedì prossimo per un incontro desideratissimo, che lascerà un ricordo incancellabile nei partecipanti a questo congresso.

E come non pensare che dal cielo papa Giovanni non continui a volerci bene, a pregare per noi, a sostenerci perché abbiamo ad operare rettamente e santamente?

Per la meditazione desidero proporvi, con breve commento, un testo del regnante pontefice, tratto dal messaggio pastorale all’arcidiocesi di Milano.

Dopo avere rivolto un pressante invito ai sacerdoti, perché attendano con generosità alla loro santificazione ed al bene delle anime, Paolo VI scrive ai laici queste significative parole: «L’ora nostra merita un impegno profondo di vita interiore, di pensiero, di azione. Non soltanto per difendere il tesoro spirituale, che la tradizione ci ha fatto pervenire, ma altresì per mostrarne l’incomparabile pregio, la perenne vitalità, la sorprendente attualità, la meravigliosa giovinezza e inesauribile fecondità. Il vangelo, dicevamo, non è vecchio; è eterno. Solo che oggi vuol essere vissuto in pienezza, con coscienza nuova della sua originalità e della sua necessità e con dedizione nuova» (L’Osservatore Romano, 11 agosto 1963, pag. 1).

Il santo Padre ci indica le esigenze dell’ora attuale – ci prospetta i motivi per cui dobbiamo corrispondere a quelle esigenze – e ci sprona al fervore per vivere pienamente il vangelo.

  1. – Le esigenze dell’ora attuale|

  «L’ora nostra…»: è un’ora grande per la vita della Chiesa, che è in stato di Concilio – è un’ora emozionante per il valore delle conquiste spaziali e dei progressi tecnici – è un’ora nuova e densa di responsabilità per le rapide trasformazioni in atto e per l’ascesa dei popoli di colore a tutte le forme di vita culturale, politica ed economica caratteristiche dei popoli di più avanzata civiltà.

«Nostra» deve essere quest’ora. E non per il semplice fatto che viviamo in questo tempo, ma per quello che noi faremo, affinché quest’ora abbia l’impronta del messaggio cristiano di verità, di giustizia, di amore, di libertà e di pace. – «… merita un impegno profondo». Quanto più un albero si innalza, tanto più affonda le sue radici nella terra. Un edificio, tanto più profondo fondamento deve avere, quanto più elevato lo si costruisce.

Oggi le dimensioni del nostro vivere si sono ampliate, assumendo esperienze e prospettive continentali e mondiali, in attesa di ulteriori conquiste interplanetarie. Per questo il nostro impegno deve essere più profondo – «…di vita interiore». È la vita di grazia, che ci ha donato Gesù Cristo. Egli è venuto al mondo per darci questa vita soprannaturale in misura abbondante. Morendo sulla croce il Signore ha distrutto il male dei nostri peccati – sorgente di morte spirituale – e risuscitando ci ha conferito lo splendore e la gioia della vita di grazia. S. Paolo, nell’ineffabile gaudio del possesso di tale vita esclamava: «lo vivo, sì, ma non più io; in me, invece, vive Cristo!» (Gal 2,20).

Noi dobbiamo stimare la grazia divina al di sopra di ogni altro valore. Dobbiamo conservarla, a prezzo di qualsiasi sacrificio.

Oggi le tentazioni si sono fatte più numerose, più seducenti, più aggressive. Chi non è pronto a lottare contro il male, resterà sopraffatto dalle tentazioni. La vita soprannaturale si sviluppa nel clima della preghiera, si nutre di un pane sostanziale: l’eucaristia, sigillo e forza di unione tra l’anima nostra e Cristo – «…di pensiero», perché il pensiero è la luce necessaria che ci indica il cammino da percorrere. I cristiani sono chiamati ad essere la luce del mondo. L’ordine impartito da Dio di dominare la terra, di scoprire le leggi della natura, di favorire l’ascesa dell’uomo dalle creature al Creatore, non ha perduto del suo valore.

Lo studente cristiano cerca la verità nel mondo naturale, nelle vicende della storia, nelle opere dell’ingegno umano. È sempre un bene la conquista della verità, anche se si tratta di un piccolo raggio di verità. Lo studente cristiano anela a cogliere la voce di Dio, che ha parlato agli uomini. Quelle parole, uscite dal cuore di Dio, sono la verità e sospingono alla bontà. Arricchito di quella luce, il cristiano non fatica a trovare la sua via, ad esprimere un suo giudizio sulle realtà terrestri e sugli atti umani. L’intellettuale cristiano porta nel mondo un raggio di luce, di speranza, di virtù. La sua cultura non toglie l’umile sentire di se stesso; la sua scienza ama tradursi in opere di carità.

– «…di azione»: quanto è oggi il bene da compiere? Le prospettive dell’apostolato sono sempre più sconfinate. «Il laico – scrive un’autorevole rivista – deve veder chiaro quanto urga nella Chiesa un laicato adulto, che senta l’esigenza e l’imperativo profondo di portare a Cristo tutte le strutture familiari, professionali, sociali; che innesti profondamente il cristianesimo nella propria vita quotidiana; che ci sia veramente Chiesa e “consacrazione” e regno di Dio, là ove è il mondo; che ci sia irradiazione di Gesù nel focolare, nella scuola, nell’officina, nella corsia d’ospedale, nel parlamento, dappertutto… Stampa, radio, cinema, sport, economia, commercio, politica, cultura: tutte le strutture umane richiedono questa consacrazione del mondo a Cristo» (Civiltà Cattolica, 1963, vol. III, pag. 333).

Lo studente universitario cristiano deve prepararsi con impegno, costanza e sacrificio per essere capace domani nella sua professione di fare il bene, di servire ai suoi fratelli, di portare il proprio contributo alla causa della civiltà e all’edificazione del regno di Dio.

  1. – I motivi di un impegno

 Dice il santo Padre che vi è un duplice motivo, che sta alla base del nostro dover essere profondamente impegnati a vivere il cristianesimo: un motivo di conservazione ed un motivo di progresso.

Anzitutto c’è da custodire e da «difendere il tesoro spirituale, che la tradizione ci ha fatto prevenire».

Si tratta di un tesoro spirituale del massimo valore. È una ricca tradizione di santità, di apostolato, di opere caritative, di attività sociali e di iniziative culturali che ci precede, ci edifica e ci sospinge al bene. Non è necessario risalire al medioevo o ai Tempi più antichi per scoprire i monumenti e lo splendore della nostra tradizione cattolica. Nei decenni più vicini a noi – e limitandoci all’Italia nostra – quante anime grandi si presentano al nostro sguardo: don Bosco, il Cottolengo, don Orione, Pio X… e sociologi, come Toniolo e don Sturzo… studiosi e maestri insigni come il padre Gemelli, i pionieri dell’università cattolica e tanti altri…! Ognuno di questi nomi richiama una vita singolarmente elevata, un’eccezionale dedizione all’apostolato, una meravigliosa fioritura di esempi, di studi, di realizzazioni.

È veramente preziosa l’eredità spirituale che ci è stata trasmessa. Noi succediamo a dei campioni, noi beneficiamo del lavoro, delle fatiche di tante anime elette e generose, che ci hanno dato una nobile consegna: conservare le posizioni raggiunte e procedere ad ulteriori conquiste.

Il Signore, riferendosi alla sua missione, diceva: «Non sono venuto per abolire, ma per adempiere» (Mt 5,7). Tale deve essere anche il programma di un giovane cattolico: non rinnegare il passato, non distruggere la tradizione, bensì custodire il tesoro spirituale e tendere ad altre mete di perfezione e di carità.

«Ogni scriba iniziato alla dottrina del regno dei cieli – ha soggiunto in altra parte il Maestro divino – è simile ad un padre di famiglia, il quale tira fuori dal suo tesoro cose nuove ed antiche» (Mt 13, 2). «Vetera novis augere»: ecco la linea che noi dobbiamo seguire. Il vangelo ci insegna ad essere gli uomini del nostro tempo, ad essere artefici di bene, sostenuti nella nostra azione dalla linfa proveniente dal passato, con la mira costante ai futuri sviluppi del messaggio cristiano nel mondo.

Questa prospettiva costituisce la seconda ragione del profondo impegno indicatoci dal santo Padre. Del tesoro spirituale che ci è stato trasmesso, noi dobbiamo mostrare «l’incomparabile pregio, la perenne vitalità, la sorprendente attualità, la meravigliosa giovinezza e inesauribile fecondità».

Per tutti noi deve essere motivo di gioia lavorare per la causa del vangelo, per il trionfo degli ideali cristiani.

Noi dobbiamo scoprire tutta la bellezza del cristianesimo per amarlo con ardore giovanile e per comunicare agli altri il nostro entusiasmo conquistatore. Il cristianesimo non è finito, non è morto, come vogliono asserire certi profeti di sventura; esso è operante nel mondo come un lievito che lo scuote e lo bonifica; mai, come oggi, la dottrina e le istituzioni del cristianesimo hanno influito sui problemi umani.

Le pagine della storia ci fanno conoscere il tramonto di teorie, di sistemi, di opere costruite dagli uomini. Il cristianesimo resta sempre attuale; e proietta la sua luce indicatrice delle soluzioni valide per i complessi problemi che oggi travagliano l’umanità.

Il cristianesimo è una forza spirituale; e lo spirito non invecchia mai. Il cristianesimo, come ha il segreto della gioia, così ha il segreto della giovinezza. Esso opera senza stancarsi, produce senza esaurire la sua intrinseca forza di espansione; vuole raggiungere tutte le realtà terrestri e le strutture umane, perché siano conformi al Piano di Dio e contribuiscano alla spirituale elevazione degli uomini. Gli universitari cattolici hanno certo il loro posto – di fervida preparazione oggi, di esemplare testimonianza ed attività domani – nell’impresa di animazione Cristiana del mondo. È giunta l’ora per i laici – diremo con altre parole di papa Paolo VI – « di passare dalla concezione inerte e passiva della vita cristiana a quella cosciente ed attiva, dallo stato di cristiani più di nome che di fatto, estranei alla comprensione e alla partecipazione dei problemi della Chiesa, allo stato di fedeli convinti di potere e di dovere essi pure condividere la sua pienezza comunitaria, la sua responsabilità operativa, la sua dolorosa e gloriosa testimonianza, la sua carità missionaria» (L’Osserv. Rom., 27 luglio 1963).

  1. – Vivere il vangelo con fervore

 L’ultima parola del papa è un richiamo toccante al vangelo. «Il vangelo non è vecchio; è eterno». Diceva l’apostolo s. Paolo: «No; io non mi vergogno del vangelo! (Rom 1,16). Si gloriava anzi di esso e consacrava la sua vita alla diffusione del messaggio di Gesù Cristo. È necessario che anche noi andiamo alla sorgente della vita interiore ed apostolica. Riudendo in fondo al nostro cuore e meditando le parole di Cristo, ci formeremo alla sua scuola ed assorbiremo il suo spirito.

«La parola di Dio -dice ancora l’apostolo delle genti- è vivente, ed efficace, e affilata piú che qualsiasi spada a doppio taglio, e penetrante fino al punto d’inserzione tra anima e spirito, tra giunture e midolla, e sa discernere le intenzioni e i pensieri del cuore» (Ebr4,12).

Chi si accosta al vangelo, troverà i motivi di luce per la sua fede, avrà vigore e fiamma di generosa carità.

«In pienezza» deve essere vissuto il vangelo, oggi. Non vi è posto per la mediocrità. Chi non tende alla perfezione, non è aperto alle esigenze del vangelo. Il mondo disprezza chi resta mediocre. Il trionfo del vangelo è affidato alle anime totalmente votate alla causa di Cristo. «Con coscienza nuova» dobbiamo vivere il vangelo, cioè con una duplice convinzione: che la dottrina evangelica è originale, superiore ad ogni altra dottrina e sempre valida; che il vangelo è necessario agli uomini e quindi la sua accettazione è per loro ragione di vita.

Ed, infine, «con dedizione nuova» ci si deve consacrare al vangelo. Quando si ama, non si calcola il sacrificio. Ai fedeli di Tessalonica s. Paolo scriveva: «Noi ci siamo fatti piccoli in mezzo a voi, qual madre che circonda di tenerezze i suoi figli, noi pure, pieni di affetto per voi, eravamo ben lieti di donarvi non solo il vangelo di Dio, ma anche la nostra vita, tanto ci eravate divenuti cari» (1Tess 2,7-8).

Se nel nostro cuore sarà vivo il fuoco della carità di Cristo, non ci sarà difficile rendere al vangelo una testimonianza di piena fedeltà.

Maria, nostra celeste madre, ci ottenga questa grazia desideratissima.

Girolamo Bortignon

Discorso al XXXVII Congresso della F.U.C.I. – Padova, cattedrale, 29 agosto 1963

Tratto da Girolamo Bortignon, Scritti e discorsi del vescovo Girolamo Bortignon, Antoniana Industria Tipografica, Padova 1979, pp. 636-640. Fonte Bollettino Diocesano 1963, pp. 403-407